Questa legge, come sostengono i referendisti, crea solo un’illusione di sicurezza?
«La sicurezza assoluta non esiste. Occorre prendere le misure adeguate nei singoli ambiti per disporre di una rete coordinata ed estesa che garantisca la protezione massima possibile. Oggi il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) opera su basi legali antiquate e insufficienti. Metaforicamente è muto, cieco, sordo e con le mani legate. Questa revisione lo aggiorna, codifica nel dettaglio le misure possibili soprattutto nell’ambito delle nuove tecnologie e i rigidi controlli a cui sottostanno. Non è una sorveglianza generale della popolazione, ma un’individuazione tempestiva di minacce per il Paese. Il SIC può occuparsi solo di quattro ambiti fondamentali: il terrorismo e l’estremismo violento, lo spionaggio, la proliferazione atomica e l’attacco a infrastrutture critiche. È un’attività corrente svolta da tutte le democrazie moderne.»
Che garanzie ci sono che non ci saranno derive e ingerenze nella vita privata di chi non c’entra nulla con attività sovversive?
«La Legge prevede una struttura complessa e rigida di autorizzazioni e controlli. Le garanzie ci sono solo se la si approva. Sono cambiate le minacce e la tecnologia è evoluta. Il SIC può oggi solo ascoltare una conversazione tra malintenzionati sulla terrazza di un ristorante, ma non ha accesso a locali privati o a scambi di e-mail. Assurdo. Dire no significa lasciare una falla legislativa enorme, nonché esporre la Svizzera al rischio concreto di divenire un’isola dove “tutto è permesso” e “nulla è controllato”. Attorno a noi il livello è stato notevolmente alzato. Questa legge prevede che il SIC sia controllato su più livelli. Accanto al Parlamento che svolge l’alta vigilanza tramite la Delegazioni delle Commissioni della Gestione, è prevista anche un’autorità di controllo indipendente esterna. Questi gremi hanno accesso a tutti i documenti».
Perché voi favorevoli escludete categoricamente che si verifichi un altro caso come quello delle schedature? Come fate a dirlo? Basterebbe però un furto di dati sensibili (come nel 2012) perché la situazione sfugga di mano.
«Non esiste la sicurezza totale e nemmeno la certezza assoluta che il singolo funzionario non abusi della propria funzione. Ricordiamo però che nel SIC lavorano professionisti altamente qualificati che desiderano sicurezza per il nostro Paese; non sono tutti squilibrati e morbosi di informazioni. Il Parlamento non è irresponsabile. Proprio per evitare abusi vi sono più organi di vigilanza e tutte le azioni invasive del SIC sottostanno a un rigido (quasi troppo burocratico, ma giusto) sistema di approvazione su più livelli. Un’esplorazione preventiva di un computer, di fronte a un sospetto concreto solo nei quattro ambiti di attività citati, necessita dell’approvazione del Tribunale amministrativo federale, del consigliere federale responsabile del dipartimento e della Delegazione Sicurezza del Consiglio federale (3 consiglieri federali, i capi del DDPS, del DFAE e del DFGP). I paletti sono chiari».
I referendisti parlano di sorveglianza di massa, Camere e Governo di una decina di casi al massimo all’anno. Una bella differenza, a chi credere?
«Questo referendum è ideologico, si fonda su paure del passato e non tiene conto del contesto internazionale attuale. Con le regole di autorizzazione descritte e la sorveglianza prevista non è fattivamente possibile organizzare una sorveglianza di massa. Ricordiamo poi che stiamo parlando di poco meno di 300 funzionari focalizzati sulle vere minacce per il Paese (attualmente jihadismo anche in relazione alla migrazione e criminalità informatica). Non è un esercito di ficcanaso che controlla tutto».
Con le nuove tecnologie però aumenta in teoria la possibilità di intromettersi nella vita delle persone. Perché il Servizio informazioni non può continuare con i mezzi attuali? In fondo anche certi servizi stranieri si sono fatti aggirare nonostante siano dotati di mezzi superiori ai nostri.
«La maggior parte delle nuove tecnologie mette già oggi in rete informazioni e contatti di chi ne fa utilizzo. Fa specie sentire critiche da parte di chi usa le nuove tecnologie ogni minuto e condivide ogni secondo della propria vita su piattaforme virtuali. La nuova Legge permette, dopo rigida approvazione, di controllare scambi di informazioni sensibili e pericolosi là dove oggi avvengono. Starne fuori sarebbe pericoloso e irresponsabile».
Visto da un’ottica opposta: e se nella lotta preventiva al terrorismo servissero misure ancora più incisive?
«Eccome. Ma chi combatte questa revisione si oppone anche a misure più rigide nei confronti ad esempio di cittadini svizzeri che lasciano il nostro Paese con finalità jihadiste (a loro va ritirato il passaporto!). Poniamo le basi per la sorveglianza preventiva. Non eliminiamo ogni pericolo, ma ne fermiamo parecchi».
La collaborazione con i servizi di altri Paesi può mettere a rischio la neutralità?
«Oggi dipendiamo da informazioni di altri Paesi, il che è rischioso per la sicurezza, la neutralità e la sovranità. Il mondo è globale e la mobilità facile, senza collaborazione si è tagliati fuori».
Intervista a cura di Giovanni Galli, pubblicata su Corriere del Ticino, 07.09.2016