Corriere del Ticino, 05.09.2011
Il nostro sistema formativo è senza dubbio buono. È tuttavia preoccupante – e per certi versi anche paradossale – prendere atto che non riusciamo a produrre la forza lavoro per svolgere determinate e importanti professioni. Penso ai docenti, agli ingegneri, al settore turistico o al personale sanitario (infermieri e medici). In numerosi ambiti professionali legati all’artigianato, ai servizi e all’assistenza è scarsa (se non totalmente assente) la manodopera ticinese. Quella esistente, con il passare degli anni si avvicina alla pensione, mentre il ricambio generazionale è coperto dall’afflusso di lavoratori stranieri.
La tendenza è pericolosa e tutti gli attori lanciano grida d’allarme. La verità è ancor più clamorosa nei settori in forte espansione, dove la nascita di nuove opportunità di lavoro non trova nel Ticino una risposta sufficiente nel numero di persone formate o disposte a formarsi.
Malgrado a livello nazionale e nei Cantoni negli ultimi anni siano state condotte numerose riforme e il sistema formativo sia in costante evoluzione qualcosa sta andando storto. L’odierna realtà deve ulteriormente essere riformata per rispondere meglio alle aspettative non sempre convergenti – delle famiglie, del mondo della scuola e del mondo lavorativo. Il tutto a beneficio dell’elemento cardine: i giovani e il loro futuro. Da questo dipende il presente e il domani del nostro Paese.
In Ticino negli ultimi anni le possibilità di impiego sono realmente cresciute: 27mila nuovi impieghi al netto in 10 anni. Nel 2010 sono sorti 3’000 nuovi posti di lavoro. Nel contempo il tasso di disoccupazione – mediamente il più alto del Paese – non dà segni di diminuzioni strutturali.
Sulla problematica si potrebbero sviluppare numerose analisi, più o meno scientifiche, e trovare svariati approcci per cercare soluzioni percorribili. Ai datori di lavoro potremmo chiedere di cambiare atteggiamento ritrovando maggior solidarietà sociale e volontà di tutela dalla manodopera locale, anche a costo di qualche sacrificio in termini di redditività (ma dopo che la scuola abbia formato le persone che cercano!).
Ai giovani, con il sostegno delle famiglie, potremmo chiedere di avere maggiore responsabilità, scegliendo percorsi formativi orientati all’ottenimento di un posto di lavoro. Anche se questo non sarà subito quanto sognato o sarà contraddistinto da un cammino con numerose sfide.
Dallo Stato, inteso come l’organizzazione che offre i percorsi formativi e sostiene i giovani nelle loro scelte, è lecito attendersi un’impostazione più (non totalmente) finalizzata alle reali necessità del mondo del lavoro. Servono visioni e impostazioni strategiche.
Ogni attore ha quindi le proprie responsabilità, ha ampi margini d’azione, ma chiede in continuazione che sia la controparte a muoversi. L’obiettivo finale è quello di offrire a ogni lavoratore, sia giovane sia con esperienza, di vivere la soddisfazione personale e sociale data da un impiego lavorativo stabile. È quindi necessario che questa problematica reale per il Ticino si tramuti in una presa di coscienza seria e generale da parte di tutti gli attori coinvolti. Solo una convergenza d’intenti potrà portare a risolvere i singoli casi, che nel complesso creano il fenomeno.
Piuttosto che discutere e calcolare il numero di frontalieri di cui ha bisogno il Ticino, troviamo il modo di collocare, uno ad uno, il maggior numero di giovani ticinesi possibile. Solo a quel punto il discorso sarà privo di ipocrisia.