Un salario minimo uguale per tutti in ogni angolo della Svizzera è una proposta politica per un dibattito sui principi, ma non è una nozione pratica da inserire nel nostro sistema legislativo. Un salario minimo a livello nazionale non è la soluzione ai problemi di dumping salariale presenti in Svizzera. La tendenza, soprattutto nelle zone di Confine come il Ticino, il Giura o Ginevra, verso un preoccupante livellamento verso il basso dei salari è un dato di fatto. Colleghe e colleghi, in questa sala troppi non ne sono ancora – o non ne vogliono essere – coscienti. Questa iniziativa non è tuttavia la soluzione e, anzi, valutando le sue conseguenze globali vi sono elementi concreti per affermare che gli effetti negativi saranno superiori ai benefici. L’iniziativa popolare va respinta.
Affermare d’altro canto che lo Stato non deve assolutamente intervenire nella politica dei salari, che la questione va risolta esclusivamente con il dialogo tra padronato e sindacati, è pura teoria economica, non differente dall’approccio ideologico di questa iniziativa.
La soluzione sta nel mezzo, sta in un approccio pragmatico, differente per Cantone, per regione, per settore professionale, per singola grande azienda e per momento congiunturale. E’ più complesso, più impegnativo, meno spettacolare e politicamente più difficile da vendere. E’ un approccio svizzero: non eclatante, ma vincente. Gli approcci drastici, le forzature non fanno parte della nostra tradizione e non risolvono i problemi. Siano essi provenienti da destra o da sinistra.
Ad oggi questo sistema si rileva vincente nel complesso, soprattutto se paragonato ai modelli vigenti in Stati a noi confinanti. Paesi con potenziali superiori al nostro, storicamente grandi motori economici, Paesi che hanno introdotto un salario minimo, ma che oggi sono in crisi congiunturale e istituzionale, spesso con prospettive veramente cupe. Il salario minimo obbligatorio per tutti, per altro più basso di quello proposto da questa iniziativa, non ha risolto i problemi di questi Stati, anzi è un elemento critico.
Ripeto, il dumping salariale va combattuto con un approccio concreto, variegato e flessibile: di principio, per Cantone e per settore professionale. Servono contratti collettivi generali con salario minimo per settore e Cantone. Dove non è possibile e gli abusi sono comprovati lo Stato deve intervenire per fissare contratti normali con salario minimo di entrata sia per persone formate sia per persone da formare. Queste misure sono oggi possibili, ma troppo spesso bloccate per questioni più ideologiche che pratiche. Sono fondamentali i controlli e un sistema sanzionatorio capace di fungere da deterrente. Attori centrali sono i Cantoni, le amministrazioni cantonali, le commissioni tripartite, i sindacati e il padronato. La Confederazione deve avere un ruolo di coordinamento e sostegno attivo. E’ un lavoro di squadra che non può essere sostituito da una norma nazionale che fissa un salario minimo per tutti.
In quest’ottica, come ticinese, ma penso che parecchi colleghi di Cantoni di confine provino lo stesso sentimento, devo chiedere alla SECO, la segreteria di Stato per l’economia, di togliersi l’abito del burocrate, analista di statistiche e medie nazionali, per fungere concretamente da partner attivo a sostegno dei Cantoni e dei problemi particolari locali. L’odierna passività è inaccettabile, soprattutto se accompagnata da una comunicazione fondata esclusivamente su di un approccio accademico. L’evoluzione salariale di Zurigo e Berna è politicamente imparagonabile e non raffrontabile con quanto avviene a Porrentruy o Lugano. Le medie risultanti sono corrette, ma non rappresentative delle reali situazioni locali. Urge cambiare approccio e registro.
Diciamo NO a questa iniziativa, ma potremo essere convincenti e di conseguenza vincenti solo se la SECO, e con essa il Consiglio federale, cambieranno approccio in un’ottica di maggiore sostegno pratico ai Cantoni. Gli strumenti a disposizione per combattere il dumping vanno coordinati meglio e ottimizzati. Un salario minimo nazionale è una forzatura che cela parecchi pericoli. Non è perché l’hanno introdotto altri Paesi che dobbiamo introdurlo anche noi; soprattutto se guardiamo alla situazione generale di questi Paesi.
Intervento in Consiglio nazionale sull’iniziativa popolare “per la protezione di salari equi” (iniziativa sui salari minimi), 28.11.2013