A partire dal 2017 in Svizzera potrebbero valere le seguenti condizioni quadro: una scala fissa (1:12) che stravolge e cementa gli stipendi (tutti, anche e soprattutto quelli mediani!), un salario minimo obbligatorio di circa 4000 CHF, un reddito base incondizionato di 2’500 CHF per l’intera popolazione (anche per chi non lavora, un controsenso nei termini reddito-lavoro!) e infine un prelievo confiscatorio di un quinto del capitale al momento della successione. Lo scenario non è fantasioso ed esagerato, rappresenta la situazione se dovessero venire accettate le iniziative popolari che saranno sottoposte al voto nei prossimi due anni. Le proposte giungono dal fronte socialista con i giovani socialisti svizzeri che tirano abilmente le redini. L’intero costrutto è ben articolato e strutturato ideologicamente.
La Svizzera necessita di condizioni quadro tanto rigide e limitative? E’ necessaria un’intromissione tanto regolatoria nel mondo del lavoro? L’attuale sistema non funziona? Abbiamo un’economia squilibrata che non produce ricchezza? Il nostro sistema sociale non sostiene chi è in difficoltà? Personalmente rispondo negativamente a tutti questi quesiti. Vi sono problemi e distorsioni, ma le proposte sul tavolo non li risolvono e anzi mettono in crisi l’intero sistema. Sono molto preoccupato per le eventuali conseguenze dell’accettazione anche solo di una delle citate iniziative popolari. I Paesi che hanno introdotto leggi e condizioni quadro simili sono in recessione, hanno elevati tassi di disoccupazione e uno Stato sociale in crisi.
La Svizzera è un modello vincente, sia in ambito sociale sia economico. Ancora nelle scorse settimane in una comparazione internazionale il nostro Paese è risultato chiaramente primo in termini di competitività e innovazione. Il mondo del lavoro è regolato in maniera snella, tanto che nella storia il confronto tra le parti sociali ha portato a soluzioni condivise con rari momenti di rottura. Lo scenario prospettato rappresenta un cambiamento di paradigma con un pericoloso mutamento radicale del sistema.
Nessuna azienda, nemmeno la più piccola, può affermare di essere estranea al dibattito su di un eventuale intromissione dello Stato nella fissazione degli stipendi. L’iniziativa 1:12 ha conseguenze su tutte le imprese attive in Svizzera. L’iniziativa tocca tutti i lavoratori in maniera diretta ed indiretta; anche chi è purtroppo al beneficio di prestazioni sociali.
L’affermazione del modello svizzero si fonda su di un insieme coerente di imprese di differenti grandezze che si garantiscono lavoro l’un l’altra. Le aziende accusate di “eccessi salariali” – spesso grandi multinazionali con cui lavorano tuttavia molte piccole e medie imprese – sono solo una minima parte. Poche aziende che comunque garantiscono un rilevante contributo generale in termini di posti di lavoro, contributi sociali e imposte per lo Stato (Confederazione, Cantoni, Comuni).
L’odierno sistema permette l’esistenza di salari eccessivamente bassi (da combattere!) e altri manifestamente troppo alti e ingiustificati (da stigmatizzare!), ma un inquadramento matematico, rigido e aleatorio non si giustifica assolutamente. Le situazioni definite pubblicamente “ingiuste” sono una minoranza comunque molto mediatizzata e capace di smuovere emozioni, sconcertando non solo l’opinione pubblica ma anche la maggioranza degli imprenditori. Restando razionali e mettendo da parte i sentimenti, occorre sostenere le attuali condizioni quadro correggendo in maniera pragmatica e non ideologica le distorsioni. Gli eccessi vanno stigmatizzati, ma fissare la proporzione 1:12 significa perdere grandi realtà industriali e di conseguenza mettere in crisi l’intero sistema.
Esistono problemi che vanno affrontati e risolti, ma alla luce della reale situazione dell’economia Svizzera l’allarmismo non è un approccio utile e costruttivo. Il modello svizzero va ulteriormente sviluppato alla ricerca di equilibrio e rispetto, fondamenti per innovarsi e restare competitivi. Una rivoluzione non è assolutamente necessaria.