La cronaca ci segnala regolarmente di abusi e reati a sfondo sessuale che vedono come vittime bambini o persone particolarmente vulnerabili. Abusi perpetrati non solo in famiglia, ma anche da parte di figure professionali o impegnate a titolo volontario che entrano a contatto con essi. Le cifre fanno rabbrividire: i reati su fanciulli registrati dalla polizia sono in media quattro ogni giorno. E si tratta unicamente di quelli conosciuti. La pedofilia è una realtà da non sottacere.Proviamo tutti sconforto e rabbia. A maggior ragione, quando veniamo a sapere che l’autore di questi atti deplorevoli in passato è già stato condannato per reati simili. Ma come è possibile che abbia avuto ancora l’occasione di ripeterli? A chiederselo sono anche le oltre 110 mila persone che hanno sottoscritto l’iniziativa dell’associazione Marche Blanche «Affinché i pedofili non lavorino più con i fanciulli» che sarà discussa giovedì prossimo 21 marzo in Consiglio nazionale. L’iniziativa esige che una persona condannata per aver leso l’integrità sessuale di un fanciullo o di una persona dipendente (adulti, anziani, disabili) venga definitivamente privata del diritto di esercitare un’attività professionale od onorifica a contatto con essi.
Il Consiglio federale, pur riconoscendo la validità degli obiettivi dell’iniziativa, non ha voluto sostenerla, presentando un articolato controprogetto diretto. Un lavoro degno di nota, che vuole introdurre novità importanti, ma che sostanzialmente non affronta con sufficiente coraggio il tema della recidiva dei pedofili. Se da una parte le norme in vigore verranno migliorate, dall’altra la loro limitazione nel tempo non permetterà di garantire un livello di sicurezza come in caso di un allontanamento permanente e definitivo.
La possibilità di interdire per un determinato periodo di tempo il colpevole una volta scontata la pena, l’iscrizione nel casellario giudiziario (comunque non definitiva), l’eventuale controllo elettronico sono passi avanti. Ma in una società che ha fatto della mobilità un elemento cardine non sono sufficienti. Spostarsi e ricominciare una nuova vita altrove dopo una condanna per pedofilia non è poi così difficile. Una volta terminato il periodo di allontanamento stabilito dal giudice e cancellata l’iscrizione nel casellario, una persona condannata per abusi sessuali su minori o persone dipendenti potrà ancora tornare a lavorare o occuparsi nelle attività extra-professionali di essi. Non c’è alcuna garanzia che non possa ripetere nuovamente le stesse azioni. Come datori di lavoro, responsabili e membri di associazioni del tempo libero, genitori e figli, dobbiamo interrogarci e chiederci quale sia il rischio che siamo disposti a correre e quali misure è necessario mettere in campo per diminuirlo.
Vogliamo davvero che i nostri figli o le persone più vulnerabili possano venir esposte al rischio di subire quanto altri purtroppo hanno già vissuto magari molti anni prima? Io no. E per questo sosterrò sia l’iniziativa sia il controprogetto nella speranza che si possa trovare una soluzione condivisa tanto da indurre gli iniziativisti a ritirare la proposta a favore di modifiche legislative che realizzano l’intento proposto.
Opinione pubblicata su Corriere del Ticino, 16.03.2013