Le relazioni istituzionali tra la Svizzera e l’Unione Europea sono in sostanziale stallo da parecchio tempo. A livello diplomatico il prodigarsi è notevole. Gli sviluppi politici languono. I fronti sono politicamente distanti; tanto quanto sono differenti i sistemi e i valori di riferimento.
Da un lato una Svizzera che globalmente crede nella via bilaterale, difende la propria sovranità e respinge (giustamente!) ogni discorso d’adesione. Berna e i Cantoni guardano con scetticismo alla tecnocrazia di Bruxelles e seguono con occhio attento le preoccupanti dinamiche interne ai singoli Paesi europei. Sul fronte comunitario la Svizzera non è certamente in cima all’agenda politica; le preoccupazioni e i conflitti per gli Stati membri sono altri. Si guarda alla Confederazione con irritazione per il costrutto bilaterale che garantisce una significativa e semplificata partecipazione al mercato europeo senza particolari obblighi nella ripresa del diritto. La democrazia diretta e il federalismo elvetico poi, con le loro regole e i loro tempi, sono totalmente misconosciuti. Nel quadro complessivo occorre infine aggiungere che entrambe le realtà sono prossime alle elezioni e la questione Brexit rappresenta per l’Europa una sfida cruciale per la coesione interna.Difficile in questo contesto generale immaginare uno sviluppo collaborativo dei rapporti bilaterali. Di fatto già da alcuni anni, l’UE desidera porre fine alla via bilaterale mentre per la Svizzera non vi sono reali alternative pratiche.
L’Accordo quadro istituzionale attualmente in consultazione è maturato in questo contesto. L’assenza di una posizione predefinita del Governo è inusuale ma tatticamente comprensibile.
Il fine e la necessità di un accordo mantello sono condivisibili. È nell’interesse di entrambe le parti definire un quadro generale che regoli lo sviluppo futuro degli accordi bilaterali vigenti, le regole per dirimere conflitti tra legislazioni e le basi su cui costruire nuovi accordi settoriali. La via bilaterale va sviluppata e consolidata; alternative autarchiche sono utopia, l’economia svizzera poggia su un quadro normativo e relazioni stabili con i Paesi circostanti.
L’accordo nella forma odierna non è tuttavia accettabile. L’approccio stride con la sovranità e il federalismo svizzeri. I margini di manovra per la Confederazione e i Cantoni in ambiti politici rilevanti come il controllo del mercato del lavoro, la fiscalità e il settore pubblico sono oggettivamente sottoposti a restrizioni inaccettabili. La soluzione proposta per dirimere conflitti tra diritto elvetico e diritto comunitario non è equa. Il recepimento della direttiva europea sulla cittadinanza, non citata nell’accordo e negli allegati e per l’UE parte della Libera circolazione, va escluso in maniera esplicita. Le previste dinamiche di internalizzazione del diritto hanno effetti sulla democrazia diretta e sulle regole istituzionali vigenti, indeboliscono il federalismo e rafforzano una centralizzazione tecnocratica che stride con il modello di successo elvetico.
Personalmente nel clima generale descritto e nei primi riscontri di peso leggo una sostanziale necessità di evitare passi affrettati. Meglio continuare le discussioni con Bruxelles dopo l’anno elettorale, coscienti che non sarà più facile e che nel frattempo la tensione potrebbe salire, ma fermi su regole e valori cardine del sistema svizzero. Occorre fondamentalmente trovare una forma comune di sviluppo della via bilaterale soprattutto con i nostri Paesi limitrofi; di fatto, malgrado le grandi crisi che vivono, i veri motori dell’UE e interessati a una soluzione con la Svizzera.
Opinione pubblicata su Corriere del Ticino, 20.02.2019