La strage di Lampedusa ha per qualche giorno riportato agli occhi, e nelle bocche, di tutti la drammatica situazione sulle coste mediterranee nel Sud dell’Europa. L’afflusso quotidiano e continuo di persone in fuga dal Sud del globo. Un dramma solo appendice di una lunga serie di tragedie umane. Non è successo nulla di nuovo, il problema è acuto dagli inizi della “primavera araba” ed è intensificato dalle crisi negli Stati nordafricani.
Il lavoro dei media segue logiche di audience, attualità e interesse. L’analisi è momentanea. Si divulgano sdegno e sentimenti di solidarietà a corto termine. Si critica la politica, si pretendono reazioni, senza rendersi conto di avere un approccio identico a quello rimproverato alla politica. Si scrivono paginate in merito allo “scandalo europeo”, ma da nessuna parte si presentano soluzioni realizzabili. Nella realtà esistono idee e progetti, non nuovi, non estremamente rivoluzionari e attrattivi, ma sul tavolo da anni senza che suscitino particolare attenzione.
Il nostro Paese è oggi molto impegnato sul fronte dell’accoglienza di chi fugge e dell’impegno umanitario e logistico nelle zone di crisi. L’impegno è certamente superiore rispetto ai Paesi che ci circondano. La piccola Svizzera si trova in un contesto di fallimento europeo nella gestione dell’afflusso di migranti al confine sud, ma comunque ha avanzato proposte concrete all’indirizzo della comunità europea. Purtroppo, piuttosto che un approccio solidale tra i vari Stati più o meno esposti, sembra prevalere un approccio egoistico che vede i Paesi del Nord (Germania in primis) volgere lo sguardo altrove lasciando a se stessi i Paesi del Sud, già confrontati a pesanti problemi interni (Italia, Grecia, Spagna ecc.). Per alleggerire i Paesi mediterranei e per evitare i viaggi della morte occorre porre le basi dell’intero sistema direttamente al punto di partenza, nel Nord Africa, nei Paesi da cui parte chi fugge. Si pensa a campi di accoglienza e di rifugio, in cui valutare le singole situazioni personali e familiari, per poi decidere se una persona ha diritto a rifugio o meno. Sotto l’egida dell’Onu o dell’Unione europea, strutture del genere eviterebbero i viaggi mortali di attraversamento del mare ed estinguerebbero gli ignobili che lucrano come passatori. Si darebbe rifugio a chi ne ha diritto e si garantirebbe un’equa ripartizione sui singoli Paesi europei. Le procedure sarebbero standardizzate e rapide. Purtroppo anche in questa costellazione numerose persone dovrebbero essere respinte perché non presentano una situazione personale tale da ottenere il diritto di risiedere, stabilmente e temporaneamente, in un Paese europeo.
È evidente che quanto sommariamente descritto presenta certamente degli aspetti molto critici e criticabili. Ci vuole un impegno attivo e coordinato di Paesi che oggi si disinteressano. Organizzare il tutto è oltremodo difficile. Occorre approfondire e chiarire numerosi dettagli. Vi sono dei pericoli e delle zone d’ombra. Serve però una discussione e chi critica l’idea dovrebbe avanzare la critica proponendo una soluzione o un’alternativa. Solo in questa maniera la discussione potrà avanzare senza la necessità di altri fatti di cronaca nera. Chi non si interessa o critica senza proporre è parte del problema.
Opinione pubblicata su La Regione Ticino, 24.10.2013