Il Consiglio federale è l’unico organo della Confederazione rimasto essenzialmente invariato dal 1848, data di Costituzione dello Stato federale. Un paradosso, se pensiamo all’evoluzione della Svizzera sia nella complessità delle sfide interne sia negli impegni internazionali.
Considerato che la Costituzione impone al Consiglio federale di essere “la suprema autorità direttiva ed esecutiva della Confederazione”, è lecito sottolineare come oggi siano dati numerosi elementi che impongono una modifica di strutture e di funzionamento.
Purtroppo una situazione di veti incrociati, più o meno interessati e giustificati, sommata a una storica prudenza elvetica nell’ambito delle riforme istituzionali, bloccano a livello parlamentare ogni progetto. Nelle scorse settimane è giunta una nuova serie di decisioni che depennano vari disegni pendenti, tra i quali l’estensione a nove membri del Governo, la presidenza biennale con rafforzamento dei poteri presidenziali e la creazione di un esecutivo “a due livelli” con l’inserimento di ministri nei singoli dipartimenti.
Malgrado un’evidente necessità di ristrutturare e riorganizzare il sistema, lampante soprattutto nei momenti di crisi e confermata dai singoli attori, la presenza di troppi interessi divergenti tra Parlamento e Consiglio federale porterà al mantenimento dello statu quo. L’unica via percorribile a corto termine sembra essere quella di un aumento dei segretari di Stato, soprattutto a sostegno dell’attività internazionale dei singoli consiglieri federali. La loro presenza nelle commissioni parlamentari, in sostituzione dei consiglieri federali (oggi sempre presenti alle sedute commissionali), resta tuttavia un tabù assoluto, quasi un’offesa nei confronti dell’attività del legislativo.
In questa situazione di “blockade” generale è oggi ingiustamente incastrata l’annosa questione della rappresentanza regolare della Svizzera italiana in Consiglio federale. L’assenza costante dal 1999 permette di dare vigore a una discussione che non deve limitarsi a una mera rivendicazione ticinese. La Costituzione prevede all’articolo 175 capoverso 4 che “le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate” in Consiglio federale. Malgrado la versione tedesca preveda una formulazione meno imperativa (“darauf Rücksicht nehmen”), l’imbarazzo è percepibile. Astraendo dalla riforma di sistema e di funzionamento, è lecito focalizzare l’attenzione sul rispetto di quanto sancito nella magna carta nazionale. Con sette, cinque o nove, membri l’Esecutivo nazionale deve rappresentare il Paese nel suo insieme e nel suo plurilinguismo. La discussione sul citato articolo è aperta e offre l’opportunità di riflettere sul concetto di regione. A breve le Camere federali dovranno confrontarsi con l’iniziativa UDC che chiede il voto popolare per l’elezione dei consiglieri federali. Si parlerà nuovamente di composizione e organizzazione del Governo. Un’ottima occasione, per la deputazione ticinese alle Camere e per i molti sostenitori della causa italofona, per rilanciare la discussione sulla presenza regolare, non costante e imperativa, di un rappresentante della Svizzera italiana, regione unica e particolare del Paese, nell’esecutivo federale.