Con frequenza piuttosto ricorrente negli ultimi anni si è discusso di federalismo linguistico. Il pluralismo linguistico del nostro Paese è un fattore di successo? Stiamo facendo a sufficienza per promuoverlo? A quali rischi siamo confrontati? Per trovare una risposta a queste domande, mi sia permesso rivolgere lo sguardo al passato che offre interessanti spunti di riflessione. In un rapporto commissionale congiunto del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati del 22 ottobre 1993 si scriveva “la Svizzera deve (ri-) prendere coscienza di quanto la pluralità culturale costituisca una fortuna e un arricchimento, poiché le differenti comunità culturali vivono anche di scambi, della curiosità dell’altro e della scoperta delle peculiarità altrui”. La realtà di inizio anni novanta è tanto simile a quella odierna. Il multilinguismo è per la Svizzera una ricchezza, non un concetto astratto, ma un plusvalore per l’intera comunità e un reale collante tra le singole componenti del Paese. Ieri come oggi, occorre rafforzare la coesione nazionale promuovendo un‘offerta culturale e linguistica variata e di alta qualità. Servono condizioni quadro favorevoli alla presenza di tutte le lingue nazionali a tutti i livelli e in tutti gli ambiti. La conoscenza delle lingue nazionali permette ai cittadini del nostro Paese di mantenere le nostre specificità in un mondo che con grande rapidità tende a relativizzare le identità nazionali. Da un punto di vista legislativo negli ultimi decenni si sono realizzati importanti progetti volti a promuovere il plurilinguismo a livello federale. Penso alla nuova Legge sulle lingue, alla relativa ordinanza e a numerosi progetti che hanno tematizzato l’importanza di una politica linguistica proattiva e federalista. Quanto acquisito nella storia del nostro Paese e ancorato oggi nelle leggi, non è tuttavia sufficiente per guardare con tranquillità al futuro.
Alcune tendenze in atto e un generale disinteresse verso la tematica rischiano di compromettere la situazione. Penso ad esempio alla recente proposta lanciata da un granconsigliere zurighese di esonerare dall’insegnamento della lingua francese gli allievi con difficoltà scolastiche nell’ultimo biennio della scuola obbligatoria. Il ragionamento a monte può essere riassunto in “meglio conoscere piuttosto bene la propria lingua – nella fattispecie il tedesco – che male sia quest’ultima sia il francese”. Con proposte di questo genere soffochiamo il plurilinguismo e l’essenza culturale del nostro Paese. Sulla medesima linea è pericolosa la tendenza che vede nascere qua e là nei Cantoni germanofoni proposte di riduzione dell’offerta di insegnamento delle lingue nazionali nelle scuole superiori quale misura di risparmio o di promozione della lingua inglese (di recente ad Obvaldo, in passato a San Gallo).
Se si dimentica la storia del nostro Paese e si marginalizza il multilinguismo federale, si priva la Svizzera di una risorsa fondamentale e vincente. La conoscenza delle lingue nazionali deve rimanere fra le nostre priorità e deve essere promossa attivamente in tutti i contesti. A ciò deve far seguito una volontà generalizzata di apprendimento per mantenere saldi i ponti linguistici che reggono la coesione nazionale.
Marco Romano, consigliere nazionale e segretario cantonale PPD