Prima o poi, sperando sempre che il momento sia lontano, capitiamo tutti in uno dei “pronto soccorso” degli ospedali elvetici. Nella difficoltà si trova generalmente una risposta di qualità, rallegrandosi di essere in Svizzera.
In questa campagna elettorale contraddistinta dal mantra del “primanostrismo” è utile rilanciare il tema del personale medico e in generale sanitario svizzero. Il tessuto economico negli ultimi decenni è fortemente mutato. L’invecchiamento della popolazione, accompagnato da una natalità ai minimi storici, genera conseguenze in ogni ambito politico; anche nel mercato del lavoro. La prossima ondata di pensionamenti, i baby boomer, aprirà una voragine con dinamiche ancora imprevedibili, ma certamente opportunità per le nuove generazioni. In tutti i settori sarà necessaria una nuova schiera sia di operativi sia di dirigenti, in taluni settori la digitalizzazione ridurrà la necessità di forza lavoro umana, in altri la scarsità di personale formato residente genererà ulteriore pressione esterna.
Il mondo sanitario evidenzia già alcune dinamiche da tematizzare e per cui sono necessarie decisioni politiche a corto termine. Un posto di lavoro su dodici in Svizzera è nell’ambito della salute. È quindi evidente come nelle professioni sanitarie – medici, personale di cura, amministrazione, specialisti – vi sia un alto potenziale di posti di lavoro nel presente e nel futuro prossimo.
Negli ospedali ticinesi mancano almeno ottanta medici, a livello nazionale il vuoto arriva a mille. Uscendo dalla cerchia ristretta dei dottori, in tutto il personale sanitario vi è margine per un maggiore impiego di personale residente. Le formazioni non mancano. Il settore, sia nel pubblico sia nel privato, è all’avanguardia nella promozione della parità dei sessi e nell’offerta di opportunità di lavoro flessibili (ad es. part-time). Il livello salariale, in gran parte regolamentato, è globalmente di buon livello.
La formazione di nuovi medici svizzeri deve quindi essere un imperativo per i prossimi anni; anche il Ticino potrà giocare un ruolo interessante tramite l’USI e il neonato master in medicina. I “numerus clausus” vanno eliminati prima possibile e le professioni del settore promosse maggiormente fra le nuove generazioni. In alternativa ci troveremo confrontati ad una dinamica di ulteriore crescita di personale proveniente dall’estero, con le conseguenti difficoltà culturali-linguistiche, rispettivamente con formazioni non equiparabili alla qualità fornita dai nostri atenei. Le scelte odierne influenzeranno gli sviluppi futuri.
Il settore sanitario offre professioni sicuramente non facili, ma pensando ai valori fondamentali del nostro Paese, la cura e la degenza (accompagnate sempre più dalla prevenzione) si inseriscono pienamente in dinamiche di solidarietà intergenerazionale e prossimità culturale. Al “pronto soccorso” ci aspettiamo fondamentalmente questo.
Il potenziale di impieghi è dato, occorre stabilire prima possibile tutte le condizioni quadro necessarie affinché sia formato un numero sufficiente di personale residente. Solo in questo modo sarà possibile evitare un nuovo forte afflusso dalle zone di confine e dai Paesi europei. Non è primanostrismo, ma pragmatismo nel trasformare una problematica in un’opportunità di politica del mondo del lavoro e sanitaria.
Opinione pubblicata su Corriere del Ticino, 11.10.2019