Intevista pubblicata su Ticino Welcome – dicembre 2018
Quali sono state le principali tappe che l’hanno avvicinato alla politica e al PPD e quali sono
le motivazioni ideali di questa vocazione?
«Penso sia un mix di elementi già presenti nella mia fortunata gioventù a Mendrisio. I nonni proprietari di una locale osteria, luogo di riunioni politiche, di feste, di infinite discussioni giocando a bocce e a carte. Da bambino ho trascorso molte ore lungo il viale delle bocce e da subito mi sono sentito coinvolto nella comunità. Mio papà, che un brutto male ci ha portato via troppo presto, lavorava per l’Ufficio tecnico comunale e in casa spesso, anche con la mamma docente, discutevamo di tematiche d’interesse locale. Successivamente per tutta l’infanzia e adolescenza sono stato attivo in varie associazioni del Borgo, vivendo le locali tradizioni e manifestazioni che letteralmente scandivano il ritmo dell’anno, generando aggregazione sociale. Inconsciamente ho arato un terreno fertile che mi ha portato non appena maggiorenne a mettermi a disposizione per il Consiglio comunale e da lì è partito tanto. Dico tanto, non tutto. Successivamente infatti sono arrivati gli studi in scienze politiche e sociali a Berna. Poi arrivarono anni di sorprese. Giovanissimo sono divenuto collaboratore personale dell’allora Consigliere di Stato Luigi Pedrazzini. Un’esperienza eccezionale nella Direzione del Dipartimento delle istituzioni. Un primo vero lavoro molto intenso e arricchente. Quindi nel 2007 l’allora neo Presidente del PPD ticinese Giovanni Jelmini mi diede enorme fiducia chiedendomi di assumere la direzione del Segretariato del Partito cantonale e la direzione del settimanale Popolo e Libertà. Sei anni di gestione di una struttura complessa, lavorando intensamente dietro le quinte della politica cantonale e nazionale. Poi nel 2011 è arrivata inaspettatamente l’occasione di lanciarmi al fronte. La candidatura al Consiglio Nazionale, l’elezione “tribolata” con il sortteggio e nel 2015 la conferma per un secondo mandato con un risultato personale che ancora oggi mi dà energia. Mi sento parte di una comunità, i meccanismi istituzionali mi stimolano e ho piacere nel, come dicono i tedeschi, “gestalten”, nel dare forma a progetti e soluzioni. Amo la Svizzera!».
Lei è molto legato, per gli studi e le molteplici attività politiche, sociali e culturali svolte, a Mendrisio. Quale ritiene possa essere il ruolo di questa città nell’assetto territoriale del Cantone?
«Premessa: non dimentichiamo mai che il Ticino ha “soli” 350.000 abitanti. Una micro-realtà nel contesto globale. Siamo tuttavia in una posizione geografica strategica che ha vissuto uno sviluppo incredibile negli ultimi 60 anni e ha potenzialità per evolvere ulteriormente. In questo contesto mi piace pensare a una Mendrisio capace di consolidare una propria identità, parte integrante di un Ticino composto da vari agglomerati complementari tra loro. In questo contesto Mendrisio ha numerose carte da giocare. Una cittadina diffusa con vocazione residenziale, un forte senso di comunità e tradizioni secolari (nel 2019 le Processioni storiche diverranno Patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO). Un polo formativo nell’arte e nella scienza del costruire con l’Accademia di architettura e la SUPSI. Secondo motore economico del Cantone grazie a una zona industriale con aziende inserite in catene di valore internazionale. E infine, come mi fanno notare spesso i colleghi d’oltralpe, è sufficiente uscire dall’autostrada e salire in direzione Monte Generoso o Monte San Giorgio per sfatare i cliché e scoprire un Mendrisiotto territorio ricco di natura, storia e prodotti locali. Non per nulla Mendrisio è il Comune con la superficie vitivinicola più estesa del Ticino».
Lei vanta una grande esperienza politica, a livello locale, cantonale e federale. Perché a suo giudizio è sempre più difficile, anche in Svizzera e in Ticino, ottenere e poi mantenere il consenso da parte di una popolazione che sembra essere disamorata nei confronti della politica?
«In taluni momenti è disarmante e frustrante. Provo continuamente a chiedermi cosa andrebbe fatto diversamente; sono convinto che ognuno possa modificare qualcosa. La tendenza è preoccupante. Nel complesso, senza volere cercare colpe altrui, credo sia un trend internazionale da cui difficilmente possiamo scappare. L’odierna mediatizzazione ha varcato ogni confine. I social media aiutano certamente. Si vuole il bianco e il nero; il compromesso non è accattivante. Si vuole lo slogan semplice; l’argomentazione è relativa. Si vuole lo scontro; il dialogo costruttivo è noioso. Il dibattito deve essere gazzarra, altrimenti è noioso. Le conoscenze di civica sono spesso lacunose. Di conseguenza si fatica a vedere l’eccezionalità del sistema svizzero e tutti gli Stati paiono uguali. Un Parlamentare federale svizzero non è professionista. Non abbiamo maggioranze e minoranze predefinite. Siamo “maledettamente” costretti a cercare compromessi, con moderazione e sempre coinvolgendo le minoranze. Il nostro sistema di milizia – arricchito dal federalismo che valorizza e responsabilizza i poteri locali, e rafforzato dalla democrazia semidiretta che evita derive elitarie – genera un sistema straordinario. In una realtà simile la polarizzazione, la spettacolarizzazione e l’esasperazione generano dinamiche fuorvianti. In Svizzera la responsabilità del consenso e della stabilità sono nelle mani di tutti».
Il Ticino sembra spesso sul punto di realizzare ambiziosi progetti, ma poi manca qualcosa rispetto ai risultati sperati. Che cosa si sente di rimproverare ai suoi concittadini rispetto alla loro capacità o volontà di portare a termine grandi progetti?
«Nel sistema svizzero nessuno è esente da responsabilità. È vero, cresce la litigiosità e spesso il livello di tolleranza si riduce. Tutti vogliamo infrastrutture pubbliche performanti, ma non devono generarci fastidi. Sottolineo comunque che nel complesso il Ticino, con la Confederazione, negli ultimi decenni ha realizzato grandi progetti. Hanno dato molto sia i privati sia l’ente pubblico. Cito Alptransit, progetti culturali quali il LAC e il Palacinema, i poli formativi USI e SUPSI e numerose iniziative private che generano indotto nei vari settori e fanno del minuscolo Ticino un luogo noto nel mondo. Non mi permetto quindi di rimproverare niente e nessuno. Spero solo che si dia fiducia alle nuove generazioni in un’ottica di apertura e coraggio pari a quella vissuta negli ultimi ’60-’90 del secolo scorso. Di fronte a noi vi sono sfide e opportunità enormi, il tutto viaggia sempre più velocemente e il Ticino deve tenere il passo per seguire i trend in corso».
Quale è la sua visione per lo sviluppo del Ticino dei prossimi anni?
«Mi piace pensare a un Cantone che cura e vive la propria identità che lo rende unico nell’eterogenea Svizzera. Nel contempo bisogna cogliere le opportunità dei mega trend in corso. Serve conoscenza della nostra storia, rispetto per quanto realizzato e dinamismo per credere in nuovi progetti. Dobbiamo colmare importanti lacune nel trasporto pubblico e gestire meglio la mobilità interna per essere “città” policentrica. Le soluzioni sono possibili, la digitalizzazione va presa come opportunità. Il tessuto economico e industriale è variegato, ben interconnesso e capace di innovare. L’imprenditoria, l’artigianato e i servizi generano plusvalore; va premiato chi è dinamico. Sul fronte della qualità di vita penso occorra accelerare prendendo spunti da realtà circostanti. Il rapporto cittadino- territorio deve tornare a essere valorizzato. Nella frenesia moderna c’è voglia di equilibrio e il Ticino ha tutti gli elementi per generarlo. Occorre volerlo e adattare le condizioni quadro, ad ogni livello sia nel privato sia nell’ente pubblico. Penso – citando solo alcune piste – al telelavoro, alla valorizzazione degli spazi verdi cittadini, al rilancio del valore dell’associazionismo e del volontariato. Non è tutto responsabilità e compito dello Stato».
Lei è una persona molto attiva, grande appassionato di sport. Come riesce a conciliare tutte le sue attività e ritagliarsi anche uno spazio per il tempo libero?
«Il movimento, senza velleità competitive, la natura, i momenti con la famiglia e con gli amici rappresentano il giusto bilanciamento ai ritmi intensi che contraddistinguono le mie giornate. Non è sempre facile, ma un’ora di jogging, una salita alla Capanna Tencia o una giornata sulle piste di sci, mi permettono di liberare la mente e generare positività. Inizio la mattina sempre molto presto. Spesso rientro a casa solo a tarda sera. Il motore è la passione, ma alla famiglia sono chiesti sacrifici. Non sono solo. I politici di milizia in Svizzera sono migliaia, dai comuni alla Confederazione, non dimentichiamolo mai. Non vi sono giornate uguali e il mix di attività politiche e professionali rende ogni giorno una nuova lezione di vita. Sono grato al mio datore di lavoro che comprende il nostro sistema politico e mi concede la necessaria agilità. Cerco di inserirvi regolarmente momenti di movimento e mi ritaglio ogni istante possibile da vivere con mia moglie e la nostra piccola. E poi la sera ci vuole un buon bicchiere di vino con gli amici più cari».
Intevista pubblicata su Ticino Welcome – dicembre 2018