Quando lo contattiamo è per fissare un’intervista per parlare della sua carica di presidente della deputazione ticinese alle Camere federali. Un intero anno che lo porterà a guidare nove colleghi impegnati nella politica “dei piani alti”: i consiglieri agli Stati Filippo Lombardi, del suo stesso partito, il PPD, e Fabio Abate, liberale radicale, e i compagni di banco, i consiglieri nazionali Fabio Regazzi (PPD), Giovanni Merlini e Rocco Cattaneo (PLR), la socialista Marina Carobbio Guscetti, i leghisti Roberta Pantani e Lorenzo Quadri, e Marco Chiesa (UDC).
Classe 1982 («appartengo forse all’ultima generazione che ha ancora giocato a calcio per strada nel nucleo»), di Mendrisio – dove i nonni gestivano una trattoria – e sposato con Maura, leventinese («i poli che si incontrano… e le montagne fantastiche di lassù»). Profondamente radicato nel suo Comune («tanto che Processioni storiche, Palio degli asini, Sagra dell’uva, weekend di San Martino sono qualcosa in cui ci devi assolutamente sempre essere»), è papà da cinque settimane (il nostro incontro risale al 24 gennaio) di Emma: «Mia figlia è nata il giorno prima che Carlo Croci annunciasse che lasciava. Lo reputo un segnale…».
Noi lo intervistiamo il giorno dopo l’addio ufficiale di Croci alla poltrona di sindaco di Mendrisio. E la presidenza della Deputazione viene così scavalcata dal nuovo evento.
Pensavamo di entrare in questo suo ufficio per la presidenza a Berna e ne usciamo con il sindacato…
In effetti è arrivato tutto inaspettato. Ero convinto che Croci portasse a termine la legislatura, anche se capisco benissimo la sua decisione. Ha scritto una pagina fondamentale di storia di Mendrisio. Naturalmente sono disponibile, se non fosse così non mi sarei candidato per il Municipio. È una candidatura che deriva dai numeri. Due anni fa sono arrivato vicinissimo a Croci, nettamente secondo. Una votazione che mi ha onorato e spronato. È anche vero che quando nel 2004 Croci mi mise per la prima volta in lista per il Consiglio comunale il mio interesse era chiaramente rivolto alla politica comunale, mi sento “figlio di Mendrisio” e desidero costruire attivamente la realtà dove vive la mia famiglia. Non avrei mai pensato di finire nel Parlamento federale, attività che mi onora. Quindi mi corre un brivido lungo la schiena e mi emoziona pensare di poter (sempre che tutto vada liscio: in una votazione, se ci sarà, si può vincere o si può anche perdere) solo immaginare fra qualche mese di diventare sindaco della mia città. Avverto ancora oggi il ricordo che avevo già da bambino della figura del sindaco – Carlo Croci e prima Pierluigi Rossi – che guardavo con ammirazione perché impegnato per il Comune anima e corpo. Mi spinge il pensiero quotidiano a mio papà, per decenni funzionario del Comune, appassionato del lavoro, che purtroppo ci ha lasciato l’anno scorso troppo troppo presto. Immaginare di trovarmi adesso lì è qualcosa che suscita delle belle emozioni, sono motivato e determinato. Auspico che si riesca ad evitare conflittualità. Se votazione dev’essere, votazione sia… sono iperdemocratico, però nel rispetto delle persone e delle idee. Come Municipio inoltre dobbiamo pensare an- che a continuare a lavorare, sarebbe un peccato se per sei mesi si bloccasse tutto, lo abbiamo visto già in altre città. La forza di questo Municipio sta proprio nel fatto di riuscire a guardare oltre gli steccati partitici e a produrre parecchio; fermare tutto sarebbe un peccato. Però vedremo…
Pare che sia sempre stata una caratteristica del Municipio di Mendrisio quella di fare gruppo.
È vero. Sono stato in Consiglio comunale dal 2004, e sono in Municipio dal 2016, dunque la vita politica del Borgo la seguo da qualche anno ed è sempre stata contraddistinta dal lavoro piuttosto che dallo scontro partitico. Ci sono sempre stati pareri discordanti, votazioni in Consiglio comunale e referendum, una volta si perde e una volta si vince, ma il focus deve stare sempre nell’ottenere obiettivi condivisi. Per questo spero che ora non si inceppi tutto. Anche perché siamo una bella squadra con un mix di generazioni stimolante. Io e Samuel Maffi rappresentiamo la generazione anni Ottanta, Samuele Cavadini e Daniele Caverzasio hanno pochissimi anni in più, Comi e Calderari portano ricche esperienze di vita e professionali.
Se sindaco diventerà non ci sarà un conflitto con la carica nazionale?
Il ruolo di sindaco è più che compatibile con il mandato che ho a Berna tant’è che circa un terzo dei membri delle Camere federali sono anche sindaci o municipali delle loro città. Davanti a me, per esempio, è seduto il sindaco di Ginevra, mio coetaneo. A mio parere anzi questo legame fra Esecutivo di una città e Parlamento nazionale è strategico perché facilita anche una serie di contatti e possibilità di condividere visioni ed esperienze. Non per altro, tantissimi progetti comunali partono dalla Confederazione. Conoscere di persona i funzionari o i politici che si occupano di questi temi non può che aiutare.
Ma non le mancherà il tempo per farlo?
È vero, il tempo è un elemento molto importante. Il mandato federale occupa circa un 40%. Per noi ticinesi poi diventa dispendioso in ore di trasferta. Abitassi a Berna, in pochi minuti sarei a Palazzo federale; invece, giovedì prossimo quando andrò in seduta di Commissione a Berna ci metterò quattro ore. Pero è anche vero che siamo nell’era in cui le quattro ore di viaggio per me sono le migliori per scrivere discorsi o rispondere alle email. Viaggio in treno costantemente ed è un luogo di lavoro eccezionale. Ho tanti impegni, ma riesco a far stare nel mio quadro settimanale tutto con una buona organizzazione (che ho ereditato dalla mia mamma, tedesca) e qualche sacrificio. Capita certo di impegnare serate e weekend per la cosa pubblica a scapito anche della famiglia, ma se ami quel che fai non lo vedi come un obbligo. Certamente ci vuole una moglie che ti capisce e che ti sostiene! Reputo fondamentale, malgrado abbia tanti mandati politici, restare un politico di milizia, voglio sempre pensare che oggi c’è la politica e domani non c’è più. E quindi se domani non ci sarà più avrò sempre un impiego professionale (gestisce la Fondazione Fidinam, ndr.). Credo perciò che questo legame fra Mendrisio e la Confederazione possa essere utile. Adesso soprattutto che Mendrisio è diventata una città vi sono molte questioni – pensiamo ai trasporti, come le ferrovie e le strade, e all’ambiente – che vengono gestite a livel- lo federale, dove avere contatti “privilegiati” quale parlamentare non può che essere un punto a favore.
La sua famiglia è chiamata a condividere i suoi incarichi?
Sempre. È chiaro che quando fai la vita che fa il sottoscritto o condividi con la famiglia o tutto diventa incompatibile. Le assenze a Berna (4 sessioni annuali di 3 settimane e le sedute di Commissione), le sere o i weekend quasi sempre impegnati, ti porta a trovare compromessi, a ritagliarti uno spazio in altri momenti della settimana e a imparare anche a dire di no. In questo sto scoprendo qualcosa che non pensavo essere così presente: quando non accolgo un invito per restare con la mia famiglia, e dedicare quindi del tempo alla mia vita privata, vedo che sono capito e compreso. Non c’è, infatti, solo la politica a portarmi spesso fuori da casa: rivesto ruoli in una serie di comitati e organizzazioni e non lo si fa perché si vuole essere ovunque ma perché ti viene con piacere chiesto e approfitti anche di queste esperienze per mantenere il contatto con il mondo reale (penso al Servizio Autoambulanza Mendrisiotto o alla Fondazione Provvida Madre per disabili), tutti mandati dove non prendi un franco e a cui dedichi una sera al mese. A livello nazionale ho il piacere di essere presidente dell’Interprofessione svizzera della vite e del vino, non è un lavoro è un mandato, del resto sono un buon consumatore (sorride) e vengo da un Comune dove il vino ha una certa importanza. Anche qui è tutta esperienza utile alla politica: fare andar d’accordo, produttori e commercianti, i vodesi e i vallesani, probabilmente è utile anche per gestire un Municipio. Da una riunione di queste si esce con la camicia bagnata, vi sono interessi in gioco enormi, un settore economico importante del Paese, ci sono persone che svolgono con passione la professione vitivinicola, tutti vogliono una soluzione, ma una soluzione ottimale per tutti spesso non c’è. In politica succede lo stesso…
Torniamo alla presidenza. Quali sono gli aspetti più importanti che da ticinese è chiamato a portare a Berna?
Dobbiamo prima di tutto uscire dalla dinamica “il ticinese diverso dagli altri”. Ricordo sempre che un collega del Canton Berna mi disse che la Confederazione era qualcosa di lontano anche per loro (un paradosso). Ogni rappresentante cantonale cerca di difendere i propri interessi. Come ticinesi siamo in dieci e molte volte dovremmo metterlo in relazione per esempio con il nostro collega appenzellese che al Nazionale è da solo. Una deputazione ticinese organizzata e strutturata permette di fare in modo che queste dieci persone su dei temi chiave trovino un’azione concordata e cerchino di organizzare al meglio il proprio incarico. Ci riuniamo prima di ogni sessione, scorriamo i temi all’ordine del giorno e vediamo quali sono di particolare interesse per il Ticino e su quali, riconosciute le differenti posizioni partitiche, si riesce a trovare una convergenza e intraprendere così delle azioni comuni da concretizzare nei dibattiti parlamentari e soprattutto, prima, nei contatti con l’amministrazione e con i consiglieri federali. Se penso al momento attuale per il Ticino è in atto la discussione sul futuro delle Officine di Bellinzona, per il Mendrisiotto il completamento, fondamentale, di AlpTransit, vi sono le varie problematiche dei rapporti con l’Italia. Andare da un consigliere federale tutti i ticinesi insieme dà più forza. Stasera, per esempio, ci incontriamo come deputazione con i vertici della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana che ci presenteranno i progetti nell’ambito della Confederazione così da essere informati e dare poi una mano laddove ci è possibile. E come incontriamo la SUPSI incontriamo tantissime altre realtà cantonali.
Non sarà però sempre facile lavorare… da minoranza.
La “lotta” per la lingua italiana è presente e continua. Ancora in questi giorni ci siamo attivati nell’ambito della ristrutturazione che sta portando avanti l’Agenzia Telegrafica Svizzera firmando come deputazione una lettera all’attenzione della direzione per evitare il declassamento della lingua italiana. Come deputazione è sempre una battaglia per difendere l’italiano nelle istituzioni e nella società civile, come esigere ad esempio un maggiore rispetto delle candidature italofone in amministrazione e la tutela delle cattedre universitarie. L’italiano però, va ammesso, non diventerà mai maggioranza. O (permettetemi la folle provocazione) annettiamo il Piemonte e la Lombardia, o saremo sempre il 4% di una più ampia realtà federale. Siamo e resteremo una minoranza, ma non per questo non dobbiamo farci sentire e utilizzare i canali che ci sono dati nel nostro Stato pluralista. A mio giudizio dovremmo trasformare da semplice lamentela, o punto di debolezza, a potenziale il fatto che il ticinese, quando si muove all’interno della Confederazione, lo fa spesso e volentieri parlando le altre due lingue nazionali, cosa che lo svizzero tedesco o lo svizzero francese non sempre gestiscono; il ticinese si muove con la forza della persona proveniente dalla mino- ranza che si afferma in vari ambiti, che è ponte fra la Svizzera tedesca e la Svizzera francese. E credo che ciò andrebbe sfruttato maggiormente.
Ma questa forza non diventa mai fatica?
Quando si è più piccoli bisogna sicuramente allenarsi di più. E bisogna qualche volta sgomitare un attimino in più. Quando sono stato avvicinato per la presidenza della Interprofessionale svizzera della vite e del vino, alla mia domanda su perché il sottoscritto, mi è stato risposto che c’era bisogno di una persona che parlava le lingue nazionali, che aveva una visione delle differenze all’interno del Paese e che non voleva omogeneizzare il tutto, una persona che sarebbe stata in grado di far da “paciere” ricercando equilibri. Il ticinese tendenzialmente mette d’accordo tutti e riesce, magari sudando un po’ di più, a ottenere attenzione. Questo non vuol dire ottenere tutto, ma non c’è nessun Cantone che riesce a farlo. Quando ci lamentiamo dei problemi del Ticino, vi sono altri Cantoni che fanno lo stesso, fa parte del funzionamento stesso che sta alla base di un Paese confederale. La discussione sulla lingua tedesca credo che comunque vada fatta. Io ho avuto la fortuna di essere cresciuto bilingue, ma se dal Ticino si vuole operare a livello federale è fondamentale conoscere il tedesco più che il francese. Certo è più difficile impararlo, ma i migliori amici del Ticino sono soli- tamente gli svizzero tedeschi. Del resto è loro il più grande “mercato”: nel lavoro, ma anche nella cultura, nello sport, nel tempo libero. Dobbiamo ricordarci che sono quattro milioni,territorialmente sono i più grandi, ma sono anche il mon- do più prossimo a noi. La solidarietà latina con i romandi è teorica, non vissuta, riconducibile solo alle origini linguistiche. Per questo il Ticino dovrebbe puntare più sul tedesco e sui contatti con la Svizzera tedesca. E l’elezione di Cassis ce lo ha dimostrato. L’asse fondamentale per il Ticino è quello Nord-Sud.
L’elezione di Ignazio Cassis, neo consigliere federale, vi ha aiutato e vi aiuterà?
È presto per dirlo, l’elezione è avvenuta a dicembre. Certo sono il primo presidente della deputazione ticinese dalla fine degli anni 90 che ha anche un proprio ex collega, di regione e parlamentare, in Consiglio federale. Stiamo preparando la sessione parlamentare che ci sarà in marzo e abbiamo già previsto una sera per cenare con Cassis dove l’ordine delle trattande “ticinesi” sta crescendo di giorno in giorno. Ci sono tutta una serie di cose che vorremmo discutere con lui e il fatto di poterle discutere con un membro del Governo che era un tuo collega a mio giudizio ci darà una maggiore forza, la possibilità di accedere a maggiori informazioni e di posizionarci meglio su alcuni temi. Sul medio e lungo periodo diventerà un vantaggio. Poi dipende anche da come si atteggerà Cassis, ma non ho dubbi che manterrà la disponibilità che ha sempre avuto.
Nella vostra deputazione è più forte l’elemento territoriale comune o il partito di origine?
Sono delle corde in costante tensione e che spesso e volentieri generano anche degli attriti, non bisogna nasconderlo. Ma siamo eletti per rappresentare il popolo in Consiglio nazionale e per pensare alla Svizzera prima che alla propria regione. È però evidente che il bene del Paese passa anche per il bene della tua regione. Quindi l’attenzione alla questione locale, soprattutto se si viene da una minoranza, è sempre fortissima. Però va messa in relazione al complesso. Non esiste, lo dico sempre, un problema che riguarda solo il Ticino. Se facciamo la lista di tutti i problemi che abbiamo essi si ritrovano almeno in un altro luogo della Svizzera, dalla questione ambientale ai frontalieri, dalla sicurezza lungo la frontiera alla problematica delle valli. La deputazione serve, dunque, da strumento con cui accordare queste differenti corde. Poi sicuramente siamo stati eletti anche per le rispettive idee, che non dobbiamo per questo mai snaturare, ma utilizzarle soprattutto per creare un dibattito costruttivo e una ricerca di soluzioni condivise.
Quanto essere momò in influisce sull’esperienza politica?
C’è sempre qualcuno che mi dice “sei nel Parlamento federale perché ti occupi ancora di Mendrisio?”. Non reputo la politica federale da serie A e la politica comunale da serie C. Sono dinamiche differenti ma di pari – alta – dignità. Ebbene, io mi sento figlio di Mendrisio, sono nato e vivo fra le strade del nucleo, voglio crescere mia figlia qui e vedo il mio futuro a Mendrisio. Quando ritorno dopo una settimana passata a Berna, ed esco per bere un bicchiere con gli amici, mi sento veramente a casa. Il Mendrisiotto spesso è quella regione lontanissima da Berna, in tanti dossier devo ricordare che il Ticino non finisce al ponte-diga o a Lugano. Spesso molti colleghi parlamentari o i consiglieri federali ci passano soltanto in autostrada e non si sono mai fermati. Ma da quando sono a Berna non è trascorso anno in cui non abbia “forzato” qualcuno di loro a fermarsi per trovarmi e visitare una cantina, il Generoso o il San Giorgio, piuttosto che assistere alle Processioni, e tutti scoprono “ah, non c’è solo l’autostrada”. Probabilmente dunque sì! La nostra apertura, il nostro piacere di stare insieme, in politica, aiuta.
Se dovesse essere eletto sindaco con quale vino brinderà?
Le dico il luogo: la mia cantina che ho appena riattato, dove c’è un bel tavolo per poter far serata con gli amici. Se dovessi essere eletto sindaco mi piacerebbe condividere quel momento con tante persone, quindi una bottiglia non basterebbe. Sceglierei vari produttori del Mendrisiotto, quello di sicuro. Ma non mettiamo il carro davanti ai buoi…
Intervista a cura di Cristina Ferrari, pubblicata su Il Mendrisiotto, febbraio 2018