Nella Berna federale vi sono decisioni che ricevono scarsa eco mediatica, malgrado l’importanza che rivestono per il futuro della coesione nazionale, elemento centrale della nostra Willensnation. Agli inizi di settembre, la Commissione della scienza, dell’educazione e della cultura del Consiglio degli Stati ha respinto due iniziative parlamentari della Commissione omologa del Consiglio nazionale. La prima chiede di sancire nella legge che l’insegnamento di una seconda lingua nazionale inizi al più tardi due anni prima della fine della scuola elementare, mentre la seconda statuisce che la prima lingua straniera insegnata sia assolutamente una seconda lingua nazionale. Due richieste chiare, in risposta a una preoccupante tendenza in atto in numerosi Cantoni, soprattutto svizzero-tedeschi, di marginalizzare le lingue nazionali a favore dell’inglese.La Commissione degli Stati respinge le mozioni sostenendo di voler rispettare in termini assoluti le competenze dei Cantoni in ambito educativo. Il dibattito non è nuovo. Ancora una volta sembra che il plurilinguismo, elemento cardine del nostro Stato federale, più che una ricchezza sia da taluni considerato un male necessario. Le differenze culturali sono spesso oggetto di malintesi a livello politico e non solo. Cosa può riservarci il futuro se non riusciremo più nemmeno a capirci, a confrontarci e a mantenere in vita la nostra democrazia diretta? La Confederazione non deve nascondersi dietro l’argomento dell’autonomia dei Cantoni. La tendenza in atto è chiara: il francese è relegato e l’italiano spesso stralciato. I Cantoni, malgrado numerosi appelli, non evidenziano una presa di coscienza politica dell’evoluzione in corso. La prima lingua straniera insegnata nella scuola elementare deve ovunque essere e rimanere in futuro una lingua nazionale. Si tratta di una prerogativa non negoziabile. Ne va della coesione nazionale stessa. Invece di indebolirla dobbiamo trovare delle soluzioni per rafforzarla. A livello legislativo, certo. Ma anche nella vita di tutti i giorni. Per esempio sostenendo e promuovendo momenti di scambio fra le classi di diverse regioni linguistiche a partire già dalla scuola media. Allievi e insegnanti potrebbero beneficiare di esperienze arricchenti, capaci di lasciare ricordi importanti nel percorso scolastico del singolo allievo, accrescendo la consapevolezza che nonostante le differenze, con competenze linguistiche basilari, ci si riesce a comprendere in ogni angolo del Paese. Anche a livello di scuole professionali e soprattutto accademico andrebbero promossi maggiormente gli scambi all’interno dei confini nazionali. La coesione nazionale si costruisce anche sull’esperienza del singolo. Permettiamo ai nostri bambini e giovani di crescere confrontandosi con le altre realtà del Paese. Questo sarà possibile anche in futuro solo se continueremo a capirci. Il pluralismo linguistico elvetico è una ricchezza straordinaria; dato il disimpegno di alcuni Cantoni, la Confederazione deve fare valere l’interesse nazionale di fondo.
Opinione pubblicata su Corriere del Ticino, 07.10.2015