Marco Romano, un suo bilancio di questi quattro anni. La dea bendata aveva visto giusto?
La dea bendata ha regolato una questione unica ed eccezionale. I 23’979 voti, quattro anni fa, li ho raggiunti con il sostegno del Popolo ticinese. Tocca ora a loro giudicarmi in base al profilo assunto e al lavoro svolto in questi quattro anni a Berna. Nella Commissione delle istituzioni politiche e in quella della Sicurezza ho agito concretamente su numerosi dossier con una rilevanza particolare anche per il Ticino. Talune mie proposte sono state accettate, una soddisfazione nella prima legislatura, mentre per altre è necessario convincere ulteriormente. Per contribuire alla gestione dei problemi e trovare delle soluzioni mirate anche per il Ticino serve un’azione concreta e continua al fronte. In sedici sessioni plenarie del Parlamento, accanto a numerosi interventi come relatore o a nome del mio gruppo, ho presentato: due iniziative parlamentari (entrambe accettate dalla competente commissione), 17 mozioni, 9 postulati, 28 interpellanze/interrogazioni e 33 domande puntuali.
Quali sono stati i successi che si sente di rivendicare?
Prima di tutto è stato fondamentale assumere un profilo basato sulla presenza, sul dinamismo, sulla determinazione e la credibilità. Ricordo con piacere l’accettazione da parte di entrambe le Camere della mia mozione volta, in un momento di riduzione del personale federale, ad aumentare l’effettivo del Corpo delle Guardie di confine. Un segnale importante per le regioni di frontiera alla luce del disimpegno vissuto negli ultimi decenni. La sicurezza necessita di maggiori risorse e non di proclami. Ora tocca anche al Cantone e ai Comuni seguire questo sviluppo, fornendo alle Polizie le necessarie risorse. La sicurezza è un bene nazionale fondamentale. Il contesto internazionale è complesso e instabile, la Svizzera – nel rispetto del proprio modello federalista – deve disporre di un sistema performante e integrato, capace di fornire risposte efficaci.
Come giudica il contesto politico ticinese dove pare prevalere un ripiegamento identitario piuttosto che l’apertura a nuove visioni politiche?
Il contesto politico ticinese è lo specchio della realtà popolare e sociale. Regna insicurezza (non solo fisica), spesso giustificata, ma che impone una reazione. I problemi e le distorsioni nel mondo del lavoro sono realtà. Servono una presa di coscienza, soluzioni condivise, capaci di trovare maggioranze e non solo polemiche. Spero vivamente che si riesca a ritrovare una maggiore capacità di apprezzare oggettivamente la realtà dove viviamo e a promuovere un approccio pragmatico, piuttosto che declamatorio, verso le sfide aperte. Abbiamo problemi, dobbiamo risolverli e non evidenziarli. Non tocca solo alla politica, ma a tutti i ticinesi. Anche il mondo imprenditoriale ha ad esempio un ruolo centrale.
“ 9 Febbraio”, come se ne esce?
Se smettiamo di vivere di dietrologia e alimentare paure e pessimismo, sono convinto che una soluzione si possa trovare. Vi sono due parti che dialogano (Svizzera ed Europa), entrambe interessate a una soluzione. La premessa fondamentale per trovare un accordo è quindi data. Serve tuttavia un Consiglio federale più deciso, coraggioso e politico, che non scarichi le proprie responsabilità sulla diplomazia.
Qual è il vero problema nei rapporti con l’Italia? Costa manca? E come ripartire?
Fondamentalmente l’Italia ha vissuto negli ultimi 4 anni una crisi istituzionale, accompagnata da difficoltà socioeconomiche molto diffuse nel Paese, che hanno complicato le relazioni tra i nostri Paesi. Va poi detto che a Berna vi è scarsa conoscenza di questa realtà, della loro mentalità e del funzionamento dei meccanismi italiani. Ci si approccia all’Italia come si procede con Francia e Germania. Un errore, considerando la tradizione e le differenze sia istituzionali sia culturali. L’assenza di un Ticinese in Consiglio federale dal 1999 complica molto la situazione.
Servizi Segreti, soddisfatto delle nuove misure approvate in CN ?
Molto soddisfatto, va messa in vigore al più presto per poter utilizzare i nuovi strumenti di sorveglianza concessi. La revisione ha trovato un rispettoso compromesso tra la protezione della sfera privata dei cittadini e la necessaria attività di sorveglianza preventiva. Il terrorismo, non solo di matrice islamica, è un rischio possibile che non va sottovalutato. Per agire preventivamente, raccogliendo informazioni e sorvegliando potenziali persone pericolose, servono basi legali chiare e moderne, in linea con gli standard di intelligence odierni. I Paesi attorno al nostro hanno elevato il livello di protezione, la Svizzera non può ignorarlo. Il rischio di avere grandi lacune o dipendere eccessivamente dall’estero è reale. La tradizionale sorveglianza della corrispondenza postale va ampliata a un moderno controllo del traffico delle telecomunicazioni e all’impiego di apparecchi tecnologici di sorveglianza. Restare al passato – con un servizio privo di competenze e con “le armi spuntate” – significa esporre la Svizzera a gravi pericoli.
Lei modererà un dibattito sulla criminalità organizzata e il traffico di droga il prossimo 9 ottobre a Lugano. Qual è la sua riflessione su questo drammatico problema?
La posizione geografica, la stabilità istituzionale e il benessere diffuso presenti in Svizzera, sono elementi che fanno del nostro Paese una realtà esposta ai fenomeni citati. Stato e cittadini devono essere coscienti della minaccia e da parte delle Istituzioni servono risposte puntuali ed efficaci. La serata del 9 ottobre vuole rilanciare la discussione, siateci ed avrete la possibilità di ascoltare anche la mia modesta opinione tra relatori di caratura ed esperienza internazionale.
Intervista a cura di Stefano Piazza pubblicata sul sito degli Amici delle Forze di Polizia Svizzere
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